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La tutela dell’individuo durante la carcerazione viene solitamente valutata in base al trattamento penitenziario che viene riservato al detenuto.
A seguito all’introduzione, da parte dello Stato italiano, dei nuovi rimedi “preventivi” e “compensativi” prescritti dalla sentenza Torreggiani e altri vs. Italia, i soggetti detenuti in condizioni contrarie all’articolo 3 della Carta Europea dei Diritti dell’uomo, che quindi subiscono un trattamento penitenziario “disumano”, devono esperire il ricorso previsto dall’art. 35 ter della legge sull’ordinamento penitenziario italiano allo scopo di ottenere un miglioramento immediato delle loro condizioni di detenzione.
Sul punto, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo, ha stabilito che in tema di accertamento delle condizioni detentive tali da costituire violazione dell’art. 3 Cedu, e quindi tali da far sussistere un trattamento penitenziario “disumano”, la mancanza di spazio sufficiente all’interno delle camere di pernottamento inferiore a 3 mq non integra automaticamente un trattamento penitenziario inumano e degradante, la cui sussistenza va, invece, verificata sulla base del livello minimo di gravità che il maltrattamento deve avere raggiunto, alla luce della durata del medesimo e in seguito alla verifica della sussistenza di eventuali ulteriori elementi che possono, nel caso concreto, avere aggravato il livello inevitabile di sofferenza e umiliazione derivante dalla condizione di restrizione carceraria, quali le carenze logistiche (mancanza di acqua calda, di illuminazione e di ricambio dell’aria) o trattamentali (quali l’assenza di opportunità ricreative, culturali e lavorative interne all’istituto penitenziario) che hanno caratterizzato la detenzione del soggetto.