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Spesso la maggior parte delle persone confonde due concetti differenti quali sono quelle di comunione e condominio.
La nozione di comunione rientra nel più ampio concetto di contitolarità di diritti, che ricorre in tutte quelle ipotesi in cui uno stesso diritto appartiene, nella sua interezza, a due o più persone .
Si ha, quindi, comunione quando il diritto di proprietà, o altro diritto reale su uno stesso bene, appartiene a più persone (c.d. comunisti), le quali sono tutte contitolari del diritto stesso.
Non si può, pertanto, definire come comunione la condizione di più titolari di un rapporto obbligatorio: in tal caso, ci troviamo di fronte ad un’ipotesi di mero esercizio in comune del diritto.
La contitolarità del diritto di proprietà (comproprietà) è la figura paradigmatica di comunione, che è ammessa, comunque, anche per gli altri diritti reali quali la superficie, l’enfiteusi, l’usufrutto, l’uso e l’abitazione.
Controversa è, invece, l’ammissibilità di una comunione del diritto di servitù.
Quella del condominio negli edifici è la figura più importante ed anche la più complessa di comunione.
La singolarità di questa figura, la cui disciplina è stata recentemente modificata dalla L. 220/2012, risiede nel fatto che il singolo condomino è al contempo:
– proprietario esclusivo del suo appartamento;
– comproprietario, in virtù di comunione forzosa, di alcune parti dell’edificio (il suolo su cui l’edificio poggia, le fondamenta, le scale, i muri perimetrali, i tetti ecc.).